“De Profundis”: una lunga lettera, scritta da Oscar Wilde durante la sua prigionia, consegna alla storia un volto nuovo e sconosciuto fino alla sua pubblicazione dello scrittore e drammaturgo irlandese. Nell’adattamento di Masolino D’Amico per la regia di Riccardo Massai è la voce roca ed evocativa di Paolo Bonacelli a far emergere “dal profondo” il risentimento e la costernazione di Wilde nei confronti della sua relazione con Bosie, il giovane aristocratico inglese Alfred Douglas. Una liaison che condusse il poeta prima alla rovina e poi al carcere (due anni con l’accusa di sodomia), fino alla morte, avvenuta tre anni dopo a causa dei postumi delle sofferenze fisiche e intellettuali patite in prigione. È una approfondita, preziosa e (troppo) lunga proiezione video dello stesso D’Amico a introdurre il pubblico allo spettacolo, facendo luce sulla natura della relazione Bosie-Wilde e sulle cause del processo intentato allo scrittore. Gli elementi in scena sono ridotti all’osso e tocca alle videoproiezioni di Luca Scarzella e Francesco Lupi Timini e al violoncello di Veronica Lapiccirella evocare suggestioni, ambienti e atmosfere che accompagnano la lettura di Bonacelli. Il “De Profundis” di D’Amico/Massai è tuttavia uno spettacolo riuscito solo per metà. Ha di certo il grosso pregio di far riscoprire, con la grazia della interpretazione di Paolo Bonacelli, l’opera più bella e sincera di Oscar Wilde in un ampio adattamento che permette di ripercorrerne tutte le principali tematiche: la relazione con Bosie, la primaria affermazione dell’arte e il ruolo dell’artista, il rapporto di Wilde con la figura di Cristo. A questo abile adattamento del testo corrispondono però numerose indecisioni, in particolare sull’allestimento dello spazio scenico. Massai ha scelto di operare in sottrazione, e su questo “profilo basso” appare decisamente strabordante la durata della lettura (un’ora e quaranta minuti), fastidiosi nella retorica alcuni dei brani video (addirittura proiettati direttamente dalla platea, scelta che li rendeva spesso coperti dagli elementi della scena) e poco incisiva la decisione di appesantire la scenografia con una sedia vuota, quella di Bosie, destinatario della lunga lettera di Wilde e grande presente/assente sulla scena.
Filippo Bardazzi