È una lettura quasi surrealista quella che Ciro Masella ci consegna di una delle prime opere di Stefano Massini, “La fine di Shavuoth”, in scena al Teatro Magnolfi all’interno del cartellone di Nuova Scena Toscana. Bombetta in testa e lungo cappotto nero per difendersi dal gelo di una Praga evocata dallo splendido testo di Massini, Franz Kafka e Jitzach Lowy (interpretati da Daniele Bonaiuti e dallo stesso Masella) sono i protagonisti di un incontro che segnerà per sempre le loro vite. Siamo al Caffè Savoy in una fredda notte di inverno di inizio secolo. Ma questo ha davvero poca importanza. Già, perché il tempo, quella notte al Savoy, è fuori di sesto. Finito lo spettacolo e luci oramai spente, il risveglio di Kafka coincide con l’ingresso in un nuovo sogno, dove appare irrilevante (per non dire assente) qualsiasi coordinata spazio-temporale. Il Caffè è stato chiuso dall’esterno da un padrone fin troppo intransigente (Valter Corelli), l’uscita bloccata e, come per un assurdo scherzo del destino, l’orologio del timido Franz smette all’improvviso di funzionare. Il giovane scrittore si trova quindi costretto, bontà sua, a trascorrere la notte con uno degli attori yiddish più celebri e affabulatori dell’epoca, Jitzach Lowy. Il Savoy si trasforma così in un buco nero dove ogni istante è annientato per far posto ai ricordi, ai sogni, alle confessioni dei due personaggi. Jitzach è il complemento di Franz: tanto esuberante e sfrontato il primo, quanto discreto e riservato il secondo. Eppure i due sono più vicini di quanto credano e di quanto vogliano mostrare. A legare lo scrittore, istruito ma impacciato negli “affari della vita”, all’attore abile menzognero è la perdita dell’innocenza a cui entrambi sono andati incontro: il crollo di valori e delle idee sul mondo che ha contraddistinto le loro rispettive formazioni. È la reazione alla caduta ad essere stata opposta: i romanzi di Franz rimangono (per ora) chiusi in un cassetto, mentre l’irrefrenabile fuoco artistico di Jitzach brucia con successo nei teatri di mezza Europa. Il testo, pregio maggiore della rappresentazione, è un crescendo di dialoghi serrati fra queste due anime, interpretate con dovizia di sfumature e precisa riflessione psicologica da Masella e Bonaiuti. Un abile elastico di battute velocissime e parentesi dilatate (puntuale è in questo senso la regia di Masella), permette di raggiungere il cuore dei personaggi, scoprire il loro passato e le loro aspirazioni per il futuro. Il sogno, proprio come in un’opera surrealista, ha in questo senso un ruolo fondamentale nel superamento delle sovrastrutture sociali, religiose e culturali per il confronto “a nudo” tra Jitzach e Franz. I costumi di Caterina Bottai e le scene essenziali e assieme evocative di Eva Sgrò completano “La fine di Shavuoth” di Ciro Masella, bravo nel complesso a gestire suggestioni e climax di un testo che già brilla di luce propria.
Filippo Bardazzi