La critica

QUANTO MI PIACE UCCIDERE

Oscenità, bustarelle, festini a luci rosse. La realtà della politica italiana ha probabilmente superato qualsiasi mirabile finzione artistica in fatto di involuzione e degrado. Un clima, quello suscitato dagli attuali e ripetuti scandali che coinvolgono la classe dirigente, che di certo ha influenzato l’autore Virginio Liberti nella stesura di “Quanto mi piace uccidere”. Il monologo, interpretato da Tommaso Taddei e presentato all’ultimo Festival di Radicondoli, è il racconto (estremo) dell’ascesa, a tratti surreale, spesso insensatamente rivoltante, di un giovane politico toscano. Elegante, con un savoir-faire impeccabile e dalla favella istruita e ammaliatrice, Taddei si presenta alla platea con lo spirito di politicante più che di attore. Una compostezza che lascia pian piano spazio alla luciferina schizofrenia del suo personaggio. Un po’ “Psycho” un po’ “Gran Bollito”, “Quanto mi piace uccidere” è uno spettacolo che corre tutto sul filo della follia: omicidio, antropofagia e violenza sono le immagini ricorrenti e maggiormente evocate dal delirante monologo di Liberti. Un racconto che non mantiene, purtroppo, il tenore e l’humor nero dei primi minuti, e anzi scade in una sequela non risolta e fine a se stessa di uccisioni e brutalità, senza raggiungere neppure l’atteso climax finale. Liberti cucina assieme, senza andare troppo per il sottile, evocazioni grandguignolesche, poco fantasiose arringhe politiche, qua e là divertenti invenzioni narrative (la scelta del suo automobilista-carnefice da parte del padre) e alcune azzeccate capriole linguistiche (il sugo – letteralmente – “di mamma”), condendo il tutto con un pizzico di modaiola anti-politica. Il risultato è un piatto mal preparato, dai sapori troppo forti e completamente slegati fra loro. La connessione fra una gioventù votata al cannibalismo e una brillante ascesa politica è davvero flebile e non è comunque in grado di scalfire l’animo dello spettatore. La responsabilità non è certo di Tommaso Taddei, convincente nella sua lucida pazzia, bravo nel rendere le esortazioni “materne” che accompagnano i resoconti dei suoi misfatti. “Quanto mi piace uccidere” è uno spettacolo riuscito solo a metà, che delude chi aveva apprezzato lo splendido “Nella solitudine dei campi di cotone” di Liberti e in generale le produzioni di Egumteatro.

Filippo Bardazzi