La critica

OPERA: Se avessi fortuna, ma anche se non l'avessi

 Un’atmosfera crepuscolare, creata da luci soffuse e da bisbigli da “Sogno di una notte di mezza estate” e un dialogo tra una voce e un nudo strumento. Annamaria Pacini e Giorgio Albiani, scelgono la formula di un racconto musicale per il loro Opera: Se avessi fortuna, ma anche se non l’avessi, un’esibizione musicale narrante, che richiama gli intermezzi del “recital cantando” della tradizione rinascimentale e che ricorda le nenie popolari, pronunciate d’inverno, vicino ai focolari. In sottofondo, tra un brano e l’altro, c’è una favola per bambini - in sala ce ne sono molti - un dialogo con la natura che vede protagonista un tiglio, portavoce di una morale o forse solo di un inno a «festeggiare il mondo, senza malinconia». I due artisti in scena ripercorrono un viaggio interiore, ma nonostante la voce limpida quasi soul di Annamaria Pacini e i piacevoli assoli di chitarra di Storai, il recital non coinvolge fino in fondo: un applauso tira l’altro, alla fine di ogni pezzo, ma le emozioni non veicolano tra il pubblico e il feedback premia la prova degli interpreti come tale, senza trasporto né entusiasmo. La favola resta incompleta e il mistero chiamato sul palco come ombra, finisce per svanire senza materializzarsi in azione o storia. Anche il tema della sorte - evocato dal titolo del progetto - non emerge, resta solo accennato (all’inizio la cantante entra in scena incappucciata) senza prendere corpo, né nel testo, né nell’interpretazione. Lo spettacolo si riscatta sul finale e chiude con più spontaneità, quando i due interpreti abbandonano la costruzione scenica e scendono a livello del pubblico in un clima da jam session. Il saluto è affidato alle note di una ninna nanna e a qualche fuori programma, richiesto dal pubblico. L’atmosfera in sala è già più calda.

Miriam Monteleone