Il titolo della pièce che sabato 5 marzo ha calcato il palco del teatro Magnolfi di via Gobetti ispira già un'idea di ciò che il pubblico si deve attendere: “Il viaggio” della pianista Giulia Mazzoni e del pittore Davide Foschi si struttura proprio come un percorso etereo e quasi impalpabile attraverso il tema della bellezza.Uno spettacolo in cui la Mazzoni esegue al piano i quattordici brani in scaletta, tutti composti da lei, che accompagnano la proiezione di sette (il numero non è casuale) opere pittoriche del Foschi, che con la sua pennellata plasma atmosfere che ci trasportano all'astrazione dei sensi, il tutto alternato ai pensieri di una voce narrante, fuori campo, che esprime le sensazioni di una donna in conflitto eterno con se stessa. L'happening scorre piacevolmente e lo spettatore gusta quasi con voracità le note del pianoforte a coda che escono grazie alle mani fatate di Giulia, un'artista veramente eccellente, che riesce mirabilmente a suonare le contraddizioni e le antitesi dell'animo di questa fantomatica protagonista, che gli astanti possono solo immaginare; le opere del pittore sono qualcosa di indescrivibile, con una pennellata che squarcia il contorno e ci regala una realtà dell'anima deformata e lontana dall'universo reale con cui ci misuriamo ogni giorno. La genialità dell'impressionismo maturo si unisce al primo Cezanne per offrire uno stile veramente molto interessante, che purtroppo non risalta quanto dovrebbe nello spettacolo, forse perché la videoproiezione non è all'altezza del momento e non rende abbastanza la potenza dei quadri. Il pubblico, molto generoso di applausi, pare recepire con piacere questo progetto, e la voce della donna imprime pensieri forti, guidati dalle musiche e dalle opere pittoriche: è una ragazza che si è persa in un' atmosfera sognante ma tormentata, che è costretta a misurarsi con una realtà che non accetta, in cui è costretta a crescere e ad affrontare i problemi della vita. Il tutto mosso da un inseguimento ritmico-cromatico pregevole ma che a volte viene plasmato in maniera disomogenea, che ci accompagna fino all'ultimo momento della serata, in cui la voce narrante si palesa come evidenza corporea con il personaggio di Benedetta degli Innocenti, che entra in scena a leggere l'ultimo pensiero, togliendo allo spettatore il gusto della visione astratta e immaginifica. Peccato.
Elia Frosini