Risorgimento sotto inchiesta. Mentre per le strade di Prato sventolano i tricolore, il teatro Magnolfi, nell’ambito del progetto “I mille volti del’Italia unita", ospita lo spettacolo Risorgimento pop, una rivisitazione sui generis e un singolare J’accuse nei confronti di una diffusa speculazione della memoria storica. Ed ecco che i festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia si trasformano in un processo a una storia che non c’è, che chiama a giudizio i padri della patria: quelli di ieri, ormai ridotti in cenere e quelli di oggi, sostituiti da politici sempre più popolari e show girl alle vette delle classifiche. Daniele Timpano e Marco Andreoli, artefici del lavoro, scelgono la provocazione come cifra stilistica di un dissacrante excursus storico, che svela le tante contraddizioni di una memoria unitaria oggi affidata a serie tv strappalacrime, spot pubblicitari, toponomastica e operazioni di sciacallaggio. Ma tutto questo non ha forse contaminato il vero messaggio storico? Che fine hanno fatto i Mille? Le persone ci tengono davvero a ricordare la storia? E chi erano Mazzini e Garibaldi? Realtà, provocazione e finzione si passano il testimone, mentre i due interpreti, ambasciatori dello Stato della Chiesa, in abiti clericali - entrambi abili caratteristi - si sdoppiano interpretando un po’ gli idoli del Risorgimento e un po’ loro stessi, come attori precari su un palco a caccia di applausi. Interrogano il pubblico, lo stuzzicano, lo offendono. Entrano ed escono dai loro ruoli, all’occorrenza, molleggiando. Giuseppe Mazzini sulla scena è un cadavere, che attende di risorgere, il capro espiatorio della carnefice sete di gloria dei nuovi “padri” della patria. Una meteora, che ha perso ogni luce. L’uso evocativo dei fantocci sulla scena (oltre a quello di Mazzini c’è anche la “reliquia” della gamba di Garibaldi) è l’unico elemento teatrale; il resto della pièce è affidato a un racconto non racconto verbale e alla messa in ridicolo di un’umanità ormai abbandonata dalla storia. Il fumo del sigaro e la disco music assordante, usati dai due performer per disturbare il pubblico, contribuiscono ad alimentare il cinismo, fino all’invito minaccia finale - rivolto agli spettatori in sala - di abbandonare il teatro. Maniere forti dunque come antidoto all’indifferenza nei confronti della storia? Forse. Ma noi non ci pensiamo. Il 17 marzo quest’anno è festa nazionale, intoniamo tutti davanti al tricolore “Viva l’Italia” e così sia.
Miriam Monteleone