Spettacolo

18/21 novembre 2010 | feriali ore 21.00, festivo ore 16.00 | Teatro Metastasio

LA CASA DI RAMALLAH

di Antonio Tarantino
scene Pier Paolo Bisleri, costumi Elena Mannini
luci Nino Napoletano, musiche Germano Mazzocchetti
con Giorgio Albertazzi, Marina Confalone
e con Deniz Ozdogan
regia ANTONIO CALENDA

produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia

 

La casa di Ramallah di Antonio Tarantino affronta i temi delicatissimi e necessari dell'estremismo islamico e del terrorismo. «Quando si esplode il tuo corpo si divide in un milione, in un miliardo di frammenti ciascuno dei quali, per una legge fisica, conserva le qualità del tutto: udito vista eccetera, e la facoltà di pensare di parlare di riferire: un miliardo di testimoni, insomma, dell'evento della creazione, dell'esplosione originaria (…) Io, che ormai sono un miliardo di miliardi di particelle che vagano, vedo tutto e di tutto posso dar conto: e cioè che dio non esiste, che pace e guerra sono destinate a inseguirsi nel cerchio rovente del tempo, come s'inseguono amore e odio, salute e malattia, giorno e notte, sole e pioggia, padri e figli, noi e loro, la loro storia e la nostra: e nessuno ha ragione, completamente ragione, né completamente torto». Nel testo surreale, significativo, inquietante di Antonio Tarantino, può accadere che una kamikaze, dopo essersi fatta esplodere, torni a portare questo crudo messaggio ai suoi genitori e al mondo. La casa di Ramallah narra un viaggio attraverso la Palestina martoriata: un padre e una madre trascorrono le ultime loro ore con la figlia Myriam, percorrendo la strada che li conduce dove si compirà il suo destino di kamikaze. Il treno su cui i tre viaggiano, annulla la distanza di pensiero fra la nostra realtà e quella del mondo arabo. Il dialogo irragionevole eppure toccante fra i tre, fitto, dolente, pieno di autosuggestioni e fanatismi, ma anche di verità del cuore, incatena l'attenzione del pubblico, forse sconvolto da genitori che accondiscendono a una simile scelta, forse ferito da immagini cui quotidianamente assistiamo in tv ma che probabilmente, attraverso il linguaggio teatrale, ci colpiscono con maggior violenza. Non è uno spettacolo pacificante, dunque, quello che Antonio Calenda ha realizzato, dando corpo alla scrittura di Tarantino, uno dei più significativi drammaturghi contemporanei. I protagonisti, una ragazza, il padre e la madre, sono gente povera, semplice: la coppia, come detto, attraversa la Palestina per accompagnare l'unica figlia nel luogo dove compirà un attentato contro Israele, facendosi esplodere. La storia è brutale, dura; il dialogo dei tre nell'angusto scompartimento del treno su cui viaggiano è claustrofobico, teso, talvolta anche ironico, solo sfiorato da qualche tenerezza, e - negli accenti della ragazza - drammatico. I genitori intrecciano le riflessioni sulla guerra, il racconto dei loro morti, degli sfregi subiti, a quello dei piccoli fatti quotidiani, come se avessero ormai accondisceso a vivere così… Si perdono fra i ricordi del loro primo incontro nella Piana di Thamma, dove raccoglievano pomodori per radunare qualche risparmio, vagheggiano ancora una casa bianca a Ramallah, da cui poter vedere il mare. Alla figlia, poco più di una bambina, anche questa poca tenerezza è stata negata, assieme ai sogni, alle utopie, e lo si sente dalla violenza delle sue parole, dal tono crudo e spietato dei suoi racconti. Spietato come tutto ciò che ha dovuto subire dall'”organizzazione” che l'ha preparata a immolarsi per un Dio giovane, che è il migliore – le suggeriscono negli ultimi inumani istanti prima dell'esplosione – perché ha quattromila anni meno di quello degli avversari… Estremismo, odio, annullamento della volontà: nell'unico istante in cui la ragazza vorrebbe voltare le spalle al suo ruolo di vittima sacrificale, è il destino a tarparle le ali e a chiuderle la via della fuga.

info