Spettacolo

19/ 22 gennaio 2012 | feriali ore 21.00, festivo ore 16.00 | Teatro Metastasio

LUCILLA MORLACCHI in

LO SCHIFO

Omicidio non casuale di Ilaria Alpi nella nostra ventunesima regione

scritto e diretto da Stefano Massini
con Luisa Cattaneo
spazio scenico Paolo Li CinLi
disegno luci Roberto Innocenti
assistente alla regia Duccio Baroni
capoelettricista Laura De Bernardis
fotografo Giuseppe D’Ambrosio

con il patrocinio del Premio Ilaria Alpi

Produzione Il Teatro delle Donne-Centro Nazionale di Drammaturgia / Teatro Metastasio Stabile della Toscana


 Prima nazionale

 

Il testo che ho scritto sul caso Ilaria Alpi è un altro passo che tento di muovere nella mia ricerca sul cosiddetto “teatro d’impegno”. Non mi interessa la denuncia fine a se stessa: esistono altre sedi per informare a più ampio raggio l’opinione pubblica su verità non dette e torbide trame d’ogni specie. In teatro – nel linguaggio teatrale, con tutte le sue complesse dinamiche – occorre cercare qualcosa di diverso, quel momento d’incontro fra l’urgenza squassante della cronaca e la metafora della concessione poetica. In un certo senso inseguo sul palcoscenico il possibile connubio fra poetica e politica. Il loro fondersi. Confondersi.

La decisione di affidare questo testo a Lucilla Morlacchi è già determinante: nessuna possibilità di sovrapporre l’interprete al personaggio, nessuna coerenza anagrafica, nessun tratto in comune che non sia quella cristallina rabbia civile che caratterizza entrambe. Lucilla e Ilaria. Altro viso, altra età, altri lineamenti, altri punti di riferimento. Lucilla e Ilaria: due entità sostanzialmente differenti. Eppure? Eppure Ilaria muore assassinata nel 1994. Diciotto anni fa. Oggi con ogni probabilità avrebbe i capelli bianchi, una fronte corrugata, forse porterebbe nella voce le stimmate della sua ostinazione. Ecco. Lucilla, mi sento di dire, è Ilaria post-Ilaria. Lucilla è Ilaria che da un luogo indefinito (da un chissà dove in cui si rivede - e si rivive – la vita come un RVM) ripercorre gli ultimi giorni a Mogadiscio, il suo percorso di progressivo svelamento di una verità che alla fine diverrà abbagliante. Letale.

Mi ha sempre interessato il teorema dantesco sulla memoria del proprio vissuto post-mortem. Quel modo particolare, nitido e al tempo stesso nebbioso, con cui le “figure” raccontano il loro calvario terreno. In questo spettacolo non c’è nessun al di là iconograficamente rappresentato. Ma c’è quella condizione formidabile per cui un essere ex-vivente dipana la matassa della sua memoria, scioglie i nodi, come un rabdomante insegue vene di significato, filoni sotterranei di risorse. Come isole affiorano dal passato incontri e scontri, rapporti, relazioni, frasi. Tutto è chiaro eppure sfumato, appannato, evanescente. La forza sta tutta nei dettagli. Cesare Pavese scriveva “Si ricordano non i giorni bensì gli attimi”. Ecco allora che questo spettacolo si traduce in una galleria di spezzoni, frammenti. Immagini sparse da una teca di vita realmente vissuta, su cui si aprono e si chiudono come lame le saracinesche del buio.

All’altra interprete, Luisa Cattaneo, ho chiesto di essere un potente elemento di appoggio in questa costruzione. Non un personaggio. Ma tutte le figure con cui Ilaria ebbe a che fare. Gli interlocutori. I referenti. Coloro che non possono non far parte di questo dantesco re-citare (richiamare). Luisa quindi è una pluralità di persone, evocate dal racconto. Ma il suo esistere scenico non è realistico, non potrebbe esserlo: è solo funzione del racconto di Ilaria, proiezione del suo caleidoscopio. Per questo ho cercato a lungo un modo di togliere a Luisa ogni equivoco di “fare i personaggi”, giungendo infine a sottrarle i lineamenti: l’attrice interloquisce con Lucilla Morlacchi sotto forma di una sagoma scura, una silhouette molto definita, una figura delineata sulla luce e dalla luce. Avviene così, in fondo, nella realtà: spesso ricordiamo molto bene un incontro senza ricordare la precisa fisionomia dei visi. Ho trasformato Luisa in un ricordo, non in un personaggio ricordato.

La sintesi di questa ricerca è dunque la possibilità di riferire (cioè riportare) al pubblico non una cronaca ma un percorso d’immagini. Non solo visive. In questa ora di spettacolo sui susseguono infatti suoni, icone, ologrammi, in un mosaico che tenacemente insegue la realtà come puzzle di sensazioni. Ripeto: non mi interessa puntare al messaggio. Non mi interessa trasformare il teatro in un luogo di reportage. Parto dalla drammatica concretezza – violenta perfino – dell’inferno somalo per indagare la nebbia del ricordo, la potenza dell’evocazione. Il trauma dell’incompleto, inafferrabile riassunto.

Stefano Massini

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21 gennaio 2012, ore 18.00, Teatro Metastasio
INCONTRO CON LA COMPAGNIA
coordina l'incontro Gabriele Rizza, critico teatrale

Ingresso libero

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