Performance
17 maggio 2014 | ore 21.00 | Teatro Metastasio
LA PELLE SCORTICATA
performance di e con Emilio Isgrò
regia e ideazione scenica a cura di Massimo Luconi
luci Roberto Innocenti
costumi Aurora Damanti
interventi sonori Giuseppe Scali
immagini video Maurizio Frittelli
musiche Mirio Cosottini
coro
Francesco Argirò
Cristina Arnone
Michele Carli
Valentina Cipriani
Claudia Domenici
intervento musicale con la collaborazione del Concerto Cittadino Edoardo Chiti:
Antonio Sammauro tromba
Elena Corsini clarinetto
Enrico Bruchi trombone
Gabriele Vassallo Basso Tuba
direttore dell’allestimento Roberto Innocenti
capo elettricista/fonico Daniele Santi
realizzazione Staff tecnico del Teatro Metastasio
un progetto
Centro per l’arte contemporanea L. Pecci
Teatro Metastasio Stabile della Toscana
Malaparte non è un nome che possa lasciare indifferente uno come me, poiché l'ho letto da ragazzo e ne serbo ancora oggi una memoria vivida e forte. Ricordo bene, per esempio, che il giorno che lo scrittore morì, in un mare di polemiche religiose e politiche, io mi trovavo a Cefalù, dove vidi la notizia sul Giornale di Sicilia.
Quel che io conoscevo di Malaparte fino a quel giorno era soprattutto la rubrica "Battibecco" del vecchio Tempo Illustrato, intrisa di una forza polemica irresistibile. Si trattava tuttavia di giornalismo, per quanto di altissimo spessore.
Fu dopo, quando la mia curiosità mi spinse a leggere Kaputt e La pelle, che potei apprezzare una qualità di scrittura che onestamente non trova molti riscontri nella letteratura italiana del Novecento...
Solo che ora, avendo una più lunga carriera di lettore alle spalle, ho potuto apprezzarne il linguaggio e lo stile meglio di quando ero ragazzo. Se fino a ieri, infatti, dovevo considerare Malaparte un autore da "scandalo", oggi sono in grado di cogliere appieno il peso che lo scrittore ha avuto su tanti artisti venuti dopo di lui.
Ci sono pagine della Pelle che Pasolini ha certamente conosciuto (addirittura il tema dell'omosessualità!) ma che probabilmente ha letto anche il Rossellini di Paisà, là dove i personaggi, nel libro non meno che nel film, parlano nelle loro lingue materne (in genere inglese, francese o tedesco) lacerando con grande efficacia il tessuto verbale della lingua italiana.
Come definire tutto questo? Puro dandysmo o schietto plurilinguismo in linea con le ricerche letterarie più avanzate dell'epoca?...
Maledetti toscani è a mio parere un testo bellissimo e tuttavia smentisce opere come Kaputt e La pelle, nel senso che qui Malaparte smette i panni del narratore cosmopolita per civettare apertamente con uno stile toscaneggiante nel tono e nel tocco, a volte al limite dell'affettazione. Eppure un incipit come questo è davvero indimenticabile nella sua apparente semplicità: "Apro la finestra, ed è primavera... Chiudo la finestra, ed è primavera...". Un capolavoro. Ma bisogna avere orecchio per accorgersene. E gusto per la lettura.
È vero inoltre che Malaparte, come tutti gli artisti che vogliono riscattare una vita complicata e discussa con la qualità indiscutibile del loro talento, sta sempre un po' (o tanto) sopra le righe, come se il suo virtuosismo potesse salvarlo. In questo senso Malaparte è un uomo infelice e disperato, tenero e detestabile insieme...
Il vero problema è stata la performance. Un'agiografia non sarebbe piaciuta allo stesso Malaparte, che in questo fu toscano nel senso migliore del termine, cioè schietto e irridente. Ma non sarebbe piaciuta neppure a te e ai pratesi, che almeno in questo siete più malapartiani dello stesso Malaparte.
Così, scrivendo il testo per il Teatro Metastasio, ho toccato principalmente le corde dello spiazzamento continuo, facendo di Curzio un personaggio angelico là dove il pubblico se lo aspetterebbe riottoso e sprezzante. E tuttavia nella mia performance rimane pur sempre la volontà di sorprendere che fu tipica dello scrittore. Fedele alle sue abitudini di affabulatore, il mio Curzio vive il suo confino a Lipari come si trattasse del viaggio di Ulisse alla corte di Eolo, il re dei venti. Forse i venti ideologici che lo dilaniarono per tutta la vita tirandolo da una parte e dall'altra.
Senza contare che, anche dal punto di vista linguistico, spariscono nella performance l'italiano e il francese - le due lingue di riferimento dello scrittore - per far posto a un idioma che conclude l'Odissea omerica con un saluto rituale quanto augurale, "Baciamu li mani, Italia", pronunciato da Malaparte in dialetto siculo-liparitano.
È l'ultima mutazione del vostro grande concittadino, quella che lui gradirebbe di più. Perché spiazza anche lui. Un Malaparte buonista, nientemeno!
(Da una conversazione di Emilio Isgrò con Fabio Gori)
INGRESSO LIBERO
Info e prenotazioni tel. 0574/608537
